Non è la prima volta che Ravenna si discute di un rigassificatore. Nell’estate del 2006, quella dei Mondiali di Germania vinti dall’Italia, il tema dell’energia teneva banco: il prezzo del gas si era alzato per una crisi politica, anche allora, tra Russia e Ucraina. Il Governo varò un piano per i rigassificatori e Ravenna si candidò. Ma le cose non andarono in porto, anche (ma non solo) per la freddezza dell’allora sindaco Fabrizio Matteucci sul tema.

Il rigassificatore di Rovigo, entrato in funzione nel 2009

Il rigassificatore al largo di Ravenna dovrebbe entrare in funzione nel settembre del 2024. Proprio questa tempistica è, come vedremo, uno dei punti su cui si concentrano le critiche di chi è contrario al progetto. Ma prima di arrivarci è necessario partire da una domanda: perché è stata scelta Ravenna come luogo per posizionare una delle due navi rigassificatrici (unità Fsru, acronimo di Floating Storage and Regasification Units) acquistate da Snam per superare la dipendenza dai metanodotti esteri? In realtà già alcuni anni fa si parlava di Ravenna come possibile luogo in cui posizionare un rigassificatore. Il contesto economico e politico era totalmente diverso. Era l’estate 2006 e l’allora ministro per lo Sviluppo Economico Pier Luigi Bersani, nel dicastero del secondo governo Prodi, faceva entrare nell’uso comune la parola “rigassificatore” che fino a qualche anno prima i giornali avevano scritto raramente – definendolo anche “termine orrendo – o tra virgolette.

Ma cos’è un rigassificatore? La sua funzione è piuttosto semplice: fa passare il GNL (il gas naturale liquefatto, composto in gran parte da metano) allo stato gassoso per poi immetterlo nella rete. Ciò permette al gas di essere trasportato non tramite i chilometrici gasdotti ma con una nave. Una procedura in sé più macchinosa ma che ha il vantaggio di disancorare i Paesi importatori dai grandi fornitori a cui sono collegati, come accade ad esempio con la Russia. In tempi di pace, trasportare il gas tramite metanodotti è naturalmente meno costoso rispetto alla soluzione via nave.

Nel 2022, con negli occhi la guerra in Ucraina, tutti sappiamo perché si parla di rigassificatori ma vale la pena ricordare perché Bersani tirò fuori quest’idea. Già durante la campagna elettorale del 2006, Bersani annunciava: “Se vinceremo, ne realizzeremo almeno tre, compreso quello di Brindisi”. Il rigassificatore di Brindisi era un progetto della British Lng all’inizio dell’anno Duemila aveva proposto un impianto nella città pugliese. Idea osteggiata dalle amministrazioni locali, compreso il governatore regionale Nichi Vendola. Finì che l’azienda costruì senza problemi il rigassificatore che aveva previsto in Galles mentre, dopo anni di polemiche e centinaia di milioni spesi, rinunciò nel 2012 a quello pugliese.

La crisi russo-ucraina del 2005

Nel 2006 il governo Prodi aveva ben presente la necessità di una strategia di lungo periodo sull’energia. Così scriveva Repubblica in un articolo del 19 agosto di quell’anno in cui si annunciava la nascita di una cabina di regia governativa sul tema: “Tutti i ministri si sono trovati d’accordo che i rigassificatori sono la risposta per dare più flessibilità al paese rispetto ai fornitori (dove domina il duopolio Russia-Algeria) e per coprire il fabbisogno energetico”. Ma qual era il problema? Anche in quel caso una crisi, scoppiata nel 2006, tra Russia e Ucraina da cui passavano i principali metanodotti verso l’Europa prima della costruzione del Nord Stream 1 (il cui progetto accelerò proprio in seguito a questa crisi). Russia e Ucraina, in sintesi, non si accordavano sui prezzi del gas e i diritti di transito e Mosca chiuse i rubinetti a Kiev e di conseguenza all’Ucraina. Ciò provocò un aumento dei prezzi dell’energia (anche se non ai livelli odierni) finché non ci fu un accordo tra i due Paesi. La situazione, fatte le dovute proporzioni tra una crisi politica e un conflitto armato, era in altre parole parellela a quella di oggi, con l’esecutivo che anche allora firmava decreti per la riduzione dell’uso del riscaldamento domestico.

Dalla crisi dell’inverno del 2005-2006 nacque la riflessione agostana del governo e le paure per la stagione fredda successiva: “Nell’immediato – scriveva Repubblica nello stesso articolo – c’è il rischio di un crisi del gas per questo inverno: alla riunione di ieri si è confermato il potenziamento degli stoccaggi, mentre sul fronte delle aziende l’ Eni ha concordato con ministero ed Autorità per l’ Energia un atteggiamento più attento nei confronti dei produttori di energia elettrica. Il Cane a sei zampe ha comunicato un taglio del 15-20% alle richieste dei “termoelettrici” per il prossimo inverno. L’ obiettivo è evitare l’ utilizzo delle riserve strategiche e l’ esportazione di energia elettrica verso l’ Europa come è successo lo scorso anno”.

Il piano del governo

Questo il contesto in cui nel 2006 si cominciava a riflettere sull’energia e sulla dipendenza italiana dall’estero. Il piano rigassificatori pensato del governo Prodi avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un numero variabile tra i quattro e i sei impianti entro il 2010 per arrivare a 33 miliardi di metri cubi di gas. Altri due terminal sarebbero dovuti essere costruiti entro il 2015. Tra i siti indicati non c’era Ravenna, inizialmente. Sul tavolo del governo c’erano le autorizzazioni per sette progetti (Gioia Tauro, Zaule, Golfo di Trieste, Taranto, Porto Empedocle, Augusta, Rosignano Solvay) a cui si aggiungevano quelli di Brindisi, Porto Viro e Livorno, le cui fasi autorizzative erano già state espletate.

Ravenna sostanzialmente si autocandidò alla costruzione del rigassificatore: lo fece con l’allora presidente provinciale di Confindustria, Andrea Trombini, durante un’assemblea dell’associazione nel giugno del 2006. Qualche mese dopo emerse l’azienda che aveva un progetto in tal senso: la Cosmi di Giuliano Resca, specializzata da anni nel mondo dell’off-shore. Una proposta, quella degli Industriali, che non venne presa da subito in considerazione dal governo perché si preferì dare la precedenza a progetti già avanzati.

Il dibattito in città

Il rigassificatore fu uno dei primi temi contro cui diedero battaglia i grillini ravennati, allora ancora organizzati in meet-up e non ancora movimento politico a tutti gli effetti. Il progetto riguardava la realizzazione di un rigassificatore costituito una grande nave gasiera, da installare a 22 chilometri dalla costa, collegato con tubature sottomarine. L’allora sindaco Fabrizio Matteucci si mostrò da subito poco entusiasta: “Quando avrò una proposta sul tavolo la valuterò”, disse a fine agosto, in un’intervista alla festa dell’Unità. Come dire: non mettiamo le mani avanti. L’accelerata avvenne però a settembre, quando Il Sole 24 Ore, il quotidiano economico di Confindustria, parlò del progetto ravennate indicandolo come “undicesimo rigassificatore”. Così la questione uscì dalla discussione locale nel quale era stata fino a quel momento relegata.

Da quel momento in poi il tema tenne banco per oltre un anno, con varie prese di posizione politiche piuttosto confuse, finché il sindaco all’inizio del 2007 si disse contrario ad un progetto a terra ma possibilista per uno a mare. Nessuna pregiudiziale di fondo, precisò Matteucci: “Se ci venisse fatta la proposta, saremmo prudenti in particolar modo su due aspetti: quello ambientale e quello del vantaggio per la comunità ravennate”. Negli uffici comunali non era ancora arrivato nessun progetto ufficiale. In ogni caso Matteucci ribadì a maggio quali erano le priorità della città: “Il recupero della Darsena di città è una questione strategica, quella di rigassificatore francamente no”. Il tutto mentre alleati come i Repubblicani, mondo imprenditoriale e sindacale si dicevano invece favorevoli all’idea.

Il parere dell’allora sindaco – oggi spesso rinfacciato all’attuale maggioranza che invece si è schierata convintamente a favore del nuovo terminal – ebbe di sicuro un peso, ma a dare il colpo di grazia all’idea del rigassificatore ravennate furono in realtà altri fattori: innanzitutto la messa in funzione dell’impianto di Porto Viro (Rovigo) che rendevano improbabile che il governo desse priorità ad un altro rigassificatore a pochi chilometri. Soprattutto, però, fu la caduta del governo Prodi nel 2008 a mandare in soffitta il piano di Bersani. Il quale, il 13 settembre 2022, in un’intervista rivendicava: “L’unico rigassificatore l’ho fatto io a Rovigo. Le cose non si fanno con l’arroganza del comando, ma con umiltà”. A Ravenna, come in Italia, la questione dei rigassificatori è finita così nel dimenticatoio, mentre l’Europa si legava sempre di più alla Russia. A livello macroeconomico la costruzione del Nord Stream aveva inoltre reso almeno all’apparenza meno pressante la questione energetica, finita in secondo piano fino al 2022.