Lo yoga tra business e spirito: tanti si improvvisano maestri, altri lo scambiano per ginnastica. Abbiamo chiesto agli insegnanti che ne pensano

Trikonasana, la posizione del triangolo, è tra quelle che gli riescono meglio. Padmasana, la posizione del loto, quella che gli ha richiesto più tempo: «Pratico dal 2000 ma ci sono arrivato solo due anni fa». A parlare solo di asana, però, si rischia di avere uno sguardo limitato. E di cedere alla deriva “ginnica” che lo yoga, a livello internazionale, sta attraversando. Fabrizio Sandulli, 48 anni, insegnante ravennate, un’idea critica sulla moda dello yoga ce l’ha eccome: «Potrei azzardarmi a dire che nel mondo solo il 20% di chi pratica lo fa nel modo giusto. Il resto è scimmiottamento, coreografia, pressapochismo. A Ravenna, per esempio, c’è uno zoccolo duro di insegnanti molto preparati. Ma anche un imperversare di corsi improvvisati, specie dentro le palestre. In quel caso yoga fa rima solo con business».

Fabrizio Sandulli nella posizione Trikonasana

Dopo tanti anni di studio e di pratica, per Fabrizio Sandulli yoga significa invece vita: «Non è uno slogan, né tantomeno indica solo il mestiere che faccio. Lo yoga è vita perché è la conoscenza di me stesso, di come sono e di come sto. Una ricerca che non finisce mai e che parte dal corpo per poi arrivare alla mente. Mentre il primo, poco a poco, si modifica come plastilina, anche la seconda cambia. E così come col tempo, a livello fisico, supero l’ostacolo che una certa posizione mi presenta, anche nella vita reale, davanti a un problema, mano a mano divento abile a gestirlo. I benefici pratici sulla propria quotidianità sono infiniti: si va dal non arrabbiarsi e innervosirsi più quando si è in mezzo al traffico al reagire al meglio davanti alle grandi difficoltà. Non sono promesse, sono i risvolti veri dello yoga, di uno yoga non considerato come ginnastica, come molti oggi purtroppo fanno. Mica perché sia nocivo, muoversi fa pur sempre bene. Ma stiamo parlando di due cose molto diverse».

La via maestra: yoga filosofia di vita

Per dedicarsi in pieno allo yoga Fabrizio Sandulli, nel 2016, dopo 22 anni ha lasciato il suo lavoro di fotografo e ha fondato, insieme a Chiara Barrotta, la scuola «Area Yoga Ravenna» che, Covid a parte, conta circa 250 iscritti: «A settembre del 2020, quando siamo riusciti a riaprire per un po’ prima delle nuove chiusure dovute alla pandemia, sono arrivati in 120. Credo che questo trend sia destinato a continuare, semplicemente perché le persone stanno sempre peggio e in questo loro cercare forme di benessere, incontrano anche lo yoga. Ciò non toglie che su cento allievi, tanto per fare una stima, sono al massimo una trentina quelli che lo prendono sul serio, che ne capiscono l’importanza. Sono coloro che ne fanno una filosofia di vita, che poi non lo lasciano più».

Accanto agli allievi che ne colgono la vera essenza, ce ne sono tanti altri che magari vanno e vengono o che si aspettano il miracolo dopo poche lezioni: «Le vie per arrivare allo yoga sono tante. C’è chi si avvicina per un problema fisico, chi perché soffre d’ansia o è stressato. Ci sono anche i semplici curiosi o quelli che si iscrivono solo perché è di moda». Un mix che fa il paio con la grande confusione che regna in materia di diplomi, certificazioni, brevetti: «Manca, anche nel nostro mondo, un’autorità che vigili e controlli. E così gli insegnanti che lavorano bene sono come mosche bianche. Il resto è un caos nel quale c’è chi diventa insegnante di yoga in due week-end, magari online. Io, personalmente, solo dopo cinque anni di pratica ho potuto accedere al corso per insegnanti, formandomi per tre anni con Renato Turla di Jyotim (Associazione internazionale degli istituti di yoga), che considero un vero fuoriclasse. Questo non significa che nella mia scuola, oggi, siamo i migliori del mondo, ci mancherebbe. Ma fa capire quanto studio e quanto lavoro ci stiano dietro. Questa è un’epoca nella quale si cercano scorciatoie anche per diventare insegnanti, autorizzati da un contesto che di fatto, non controllando, permette di risparmiare tempo, soldi, impegno. Peccato che non si consideri che abbiamo a che fare con la salute della gente, che agiamo sulla colonna vertebrale».

Social, la via dell’ego

Insomma, da un lato una platea di insegnanti con una scarsa preparazione, dall’altra un boom di interesse che spesso non sfocia in quello che lo yoga dovrebbe essere: «Vedo, specie sui social, immagini di posizioni affascinanti, accattivanti. Vedo una gran pubblicità di corsi. Ma cedere a quel circo vuol dire rinforzare il proprio ego, non certo avviare il lavoro interiore per capire, conoscere, trasformare». La richiesta, nel frattempo, aumenta: «Io credo che se a settembre dello scorso anno avessimo potuto aprire per poi non richiudere più, avremmo dovuto dire no a molti. Eppure, la nostra è una proposta silenziosa che con il marketing ha ben poco a che vedere. Sarebbe bello, in un mondo ideale, vedersi riconosciuto questo ruolo nel miglioramento del benessere delle persone e magari ricevere dagli enti locali una bella proposta per uno spazio più grande, con un affitto agevolato. Peccato che per quanto di tendenza, lo yoga non riesca ad attecchire culturalmente. Del resto in un mondo veloce, l’esercizio dell’attesa e della pazienza sono qualcosa di molto lontano. Quando dico che l’importante non è eseguire perfettamente la posizione ma intraprendere la strada che porta ad essa, parlo di uguaglianza in un mondo competitivo. A lezione, siamo tutti sullo stesso piano perché diamo tutti il massimo, non perché uno è in grado di fare la verticale sulla testa e l’altro ci sta solo provando».

Al rapporto maestro-allievo che è un punto centrale della pratica e dell’insegnamento, adesso a causa del Covid anche Fabrizio Sandulli è costretto a rinunciare: «Per diversi mesi mi sono rifiutato di cedere alle lezioni online, che considero alla stregua di un compromesso. A distanza non vedo la possibilità di lavorare sulla concentrazione, sulla precisione e sul collegamento tra movimento e respiro. In casa, tra l’altro, siamo distratti da mille cose, dai figli al campanello, dal cane al soffritto. È complesso persino a scuola, in un ambiente adibito solo allo yoga, sconnettersi da tutto e predisporsi a praticare come si dovrebbe, figuriamoci tra le mura domestiche». Ma se è a malincuore che l’insegnante, in questi mesi, è stato testimone del pullulare delle proposte in rete, alla fine, di recente, si è trovato a cedere a Zoom e compagnia: «Non è l’esigenza di dover continuare a guadagnare, comunque legittima, che mi ha convinto, quanto la richiesta degli iscritti che si è fatta pressante. Alle persone lo yoga serve a stare meglio, dire di no è una responsabilità. Per farlo al meglio, facciamo lezione in due: uno conduce, l’altro osserva gli allievi per riuscire a correggerli. Ciò non toglie che se questo dovesse essere il futuro, cambierei mestiere».

Avverso allo yoga come via di profitto, alle tendenze che spesso si associano alla disciplina e all’attrazione per l’Oriente che a volte ne giustifica la fascinazione, Fabrizio Sandulli continua a studiare e approfondire. Convinto, dopo tanti anni e dopo averne fatto una ragione di vita, che lo yoga sia davvero quella via verso l’illuminazione dei testi antichi. Anche qui. Anche ora. 

Yogaeducational, l’altra via

A cercare una voce storica nel panorama sregolato dello yoga si incontra Gianni Bertozzi, che vive a Parma ma rappresenta l’Emilia-Romagna per la Federazione italiana yoga, che nel settore è il soggetto più antico. Quando gli chiedi quanti anni, ha la risposta pronta: «Quale età? Anagrafica, biologica o dell’anima? Se vuoi la risposta alla prima ti dico 73, dove quel tre mi dà molto fastidio. Per il resto, tutto è relativo». Fatto sta che quando Gianni Bertozzi ha iniziato a srotolare il tappetino, lo yoga in Italia pareva qualcosa di esotico, per gente strana. Sarà per questo che davanti alla moda che ha preso piede negli ultimi anni, ha uno sguardo a metà tra il lucido e l’ironico, sebbene sempre lontano dalla condanna: «Io non butto il bambino con l’acqua sporca. Il panorama dello yoga oggi in Italia assomiglia a un’orgia, a una giungla. Ma ci sono dei lati positivi. Noi siamo uno dei tanti enti che consente agli insegnanti di formarsi e lungi da me dire che siamo i migliori. Il punto è che non esiste qualcuno che valuta il valore di un corso piuttosto che di un altro. D’altro canto istituzionalizzare il percorso di studio per diventare maestri è complicato. E il rischio è quello dell’improvvisazione. Con l’Alma Mater di Bologna abbiamo messo in piedi il master Yogaeducational, che è un bel passo avanti. Ma tutto il resto?». 

Gianni Bertozzi con alcuni allievi

Il punto centrale del discorso è semplice e con il business c’entra un bel po’: «Oggi, anche in Romagna, pullulano le lezioni di yoga all’interno delle palestre, che però non vanno a caccia di allievi, bensì di clienti che paghino iscrizioni e tessere. Lo yoga però è un percorso di ricerca e di evoluzione che in contesti come questi può snaturarsi: di sicuro, anche se proposto in questa modalità, non fa danni. Ma c’è una bella differenza tra diffonderlo bene e diffonderlo male. Lo yoga, a differenza della ginnastica in generale, entra nel subconscio delle persone. È vero, la maggior parte degli adepti si avvicina per lo stress, per il mal di schiena. Ma poi scopre di essere molto di più del sintomo e se ha la motivazione di crederci e andare avanti, compie una vera esperienza esistenziale». 

Dopo decenni di lavoro sul campo come insegnante, Gianni Bertozzi guarda ai numeri con cautela: «In Italia si parla di un milione e mezzo di persone che praticano yoga e il trend è in crescita, specie nelle regioni del Nord, tra cui spicca senza dubbio l’Emilia-Romagna. Ma è difficile dire per quante di quelle persone lo yoga sia effettivamente qualcosa di serio. Oggi ci mancavano solo il Covid e lo yoga online: per carità, dico sempre che piuttosto che niente, meglio piuttosto. Ma non confondiamo l’essenziale con l’accessorio». Il lato positivo della medaglia, secondo Gianni Bertozzi, è che il periodo attuale può favorire l’interesse nei confronti dello yoga: «Oggi, per decreto, siamo costretti a un processo di introversione, a farci delle domande come in tutti i momenti storici di cambiamento. In questo senso, se inserito in un percorso sistemico alla Patañjali, per citare il padre dello yoga, dà risposte formidabili ed è di fortissima attualità». 

Dimentichiamoci, allora, l’approccio tradizionale: «Da noi è impensabile quella visione gerarchica della società che, nel caso in questione, vedeva gli allievi rimanere con il guru per anni, poi trovare un equilibrio e andare a diffondere lo yoga nel mondo. Oggi, in Occidente, tutto questo sarebbe fantascienza. Non resta, allora, che pagare una quota e iscriversi a un corso. Sperando sia all’altezza». Secondo il sito Yogamap.it che le censisce, in Romagna le scuole di yoga sono 26, di cui nove in provincia di Rimini, altrettante nei territori di Forlì-Cesena e otto nel Ravennate. Dati, chiaramente, non esaustivi di tutto il panorama, specie se si considera che un corso di yoga, ormai, esiste in tutte i centri fitness. Il dato è vicino allo zero, invece, se si considera l’annosa questione dello yoga insegnato ai bambini e ai ragazzi nelle scuole: «La nostra Federazione è l’unica ad avere un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione in tal senso. Peccato che nel 2017, quando l’allora premier Paolo Gentiloni, in India, davanti al primo ministro Narendra Modi, promise di inserirlo nelle ore di educazione fisica, nessuno lo sapesse. Fatto sta che le scuole, da tempo, sono con l’acqua alla gola per far quadrare i conti, figuriamoci se investono sullo yoga. Adesso, poi, con il Covid, lo yoga è davvero l’ultimo dei pensieri». 

Gianni Bertozzi ci prova davanti al mare o vicino a un sentiero di montagna, a fare avvicinare gli scettici: «Nel 2005 ho creato il marchio Sundaraitalia per proporre lo yoga in vacanza. Lì che le persone sono rilassate si riescono ad agganciare meglio».

Silvia Manzani

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